La ricerca ha dimostrato che l’ansia è uno stato emotivo fisiologico che accompagna la vita dell’uomo, la paura che ne costituisce il nucleo centrale e la relativa reazione di fronte al pericolo sono risposte innate risalenti a complessi circuiti neurologici. L’ansia può essere normale o patologica. La maggior parte degli studiosi è d’accordo nel considerare la differenza in base all’entità della reazione agli stimoli, piuttosto che alla qualità e al successo della risposta (fuga, allontanamento del pericolo, soluzione del problema, piuttosto che l’aumento della percezione dello stesso e paralisi dell’azione).
L’ansia normale, quindi, è una reazione automatica a stimoli di paura che porta il soggetto ad attivare le sue risorse per risolvere la situazione con un rilassamento della tensione.
L’ansia è patologica quando la reazione di paura è esagerata rispetto allo stimolo o diventa una costante (cioè gli stimoli sono continui) e in genere il comportamento non porta alla soluzione del problema, anche se a volte ciò può apparire. In genere l’individuo ansioso può trovare soluzioni immediate di comportamento che non sono di evitamento, ma anzi sembrano dirette a superare il problema stesso (per esempio l’ansia per un esame che non impedisce il superamento dello stesso).
Le neuroscienze, hanno negli ultimi anni, fatto scoperte interessantissime circa il funzionamento del cervello. In particolare nell’ambito dell’ansia la funzione dell’amigdala è fondamentale sia nelle risposte alla paura sia nell’emozione stessa.
L’amigdala riceve gli stimoli sensoriali della paura attraverso il talamo, prima della corteccia prefrontale e li trasmette alla corteccia stessa rendendo lo stimolo da non consapevole a consapevole, in modo che l’individuo possa controllare il suo comportamento di risposta in modo funzionale.
I criteri diagnostici per il disturbo d’ansia generalizzato proposti dal DSM-5 (American Psychiatric Association, 2013) sono riassumibili come segue:
Gli individui con questo disturbo si descrivono di solito come persone sensibili, tendenti al nervosismo e alla preoccupazione cronica, detta anche rimuginio, caratteristica cognitiva principale del disturbo d’ansia generalizzato.
Il rimuginare è inteso come una catena di pensieri negativi, in forma preminentemente verbale, nei quali il soggetto si concentra sulla natura incontrollabile della preoccupazione e sul suo possibile ruolo nell’evitare gli esiti negativi degli eventi temuti. Ciò che rende la preoccupazione patologica nel disturbo d’ansia generalizzato non è né il contenuto, né il grado con il quale la preoccupazione è riconosciuta come irragionevole, ma piuttosto la percezione che la preoccupazione è eccessiva e incontrollabile.
Per favorire l’alleanza terapeutica nel trattamento del disturbo d’ansia generalizzato penso che ci siano alcuni aspetti cui prestare maggiore attenzione. Per esempio un atteggiamento presente, calmo del terapeuta (che bilancia, ma non contrasta quello più ansioso del paziente), empatico, interessato anche ai disturbi somatici che probabilmente vengono da tempo sottovalutati o scherniti in famiglia, può esser funzionale, onde favorire un senso di empatia ed accoglienza allontanando la stigmatizzazione sociale che spesso il paziente sente di subire.
E’ funzionale aiutare la persona a riordinare idee, bisogni, mete, secondo una successione nel tempo scandita da una priorità o da una possibilità realistica di attuazione, fermarsi su alcuni aspetti della sua vita per affrontarli in maniera più approfondita. La relazione terapeutica deve essere più che mai improntata sulla comprensione/fermezza, accettazione e successivo ridimensionamento dei sintomi, condivisione e trasparenza. Poco per volta la persona dovrebbe essere in grado di iniziare a considerare l’ansia come una difesa, i sintomi come dei segnali, riducendo il loro impatto doloroso con o senza farmaci a seconda delle diverse situazioni.
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